Snam, Italgas e Terna sono più redditizie di big tech come Meta e Google e delle loro concorrenti europee. Il nodo della remunerazione degli investimenti
Snam, Italgas e Terna battono Microsoft, Alphabet (Google) e Meta (Facebook). Le società italiane a controllo pubblico che trasportano o distribuiscono gas e elettricità ai cittadini e alle imprese sono più redditizie di alcune delle aziende più grandi, tecnologicamente avanzate e importanti al mondo nei business del futuro: cloud, data center e intelligenza artificiale. Insomma, Big Energy batte Big Tech.
Più redditizie delle big tech
Cosa voglio dire? Parlo della redditività, intesa come utile operativo delle imprese prima di pagare le tasse e gli interessi sui debiti. Nel gergo dei bilanci societari si definisce EBIT (“Earnings before interests and taxes”). Nei primi sei mesi del 2025 quello del trasportatore elettrico sulla rete ad alta tensione Terna (al 48% dei ricavi), del trasportatore di gas lungo le grandi condutture del Paese, Snam (51% dei ricavi), e del distributore del gas lungo la rete verso i consumatori, Italgas (49% dei ricavi), battono i campioni mondiali di valore aggiunto, redditività e francamente anche di potere oligopolistico: l’EBIT di Microsoft nel 2024 resta inchiodato al 44,6%, quello di Meta al 42,2% e Alphabet viaggia su un misero 32,3%. Quanto a Enel, nella distribuzione elettrica (EBIT al 34,3% dei ricavi in Italia nel primo trimestre del 2025) supera Alphabet e il campione mondiale di un settore ad alti margini di profitto come il lusso (LVMH nel 2024 ha un EBIT al 23,1% dei ricavi).
Riassumo: le aziende a controllo pubblico che trasportano l’energia consumata dagli italiani guadagnano di più – in proporzione – delle aziende più potenti, competitive ed uniche al mondo per le caratteristiche dei loro prodotti. Questo dicono i bilanci delle rispettive società. Com’è possibile? E contribuisce questa circostanza, eventualmente, al fatto che le famiglie e le imprese in Italia pagano bollette fra le più care d’Europa? Vediamo.
Il divario con l’Europa
È ormai chiaro che in Italia la materia prima elettrica – l’elettricità prima di tasse, prelievi, trasporto e altri costi – è molto più cara rispetto al resto d’Europa. Il grafico sopra, scaricato dalla banca dati del Gestore del mercato elettrico, mostra come dopo la crisi del 2022 lo scarto del nostro Paese sulle medie europee non si sia affatto ridotto. Al contrario, è aumentato ancora. (Nel grafico le colonnine nere mostrano i prezzi all’ingrosso in Italia e quelle arancioni le medie europee, mentre l’andamento in verde identifica lo scarto percentuale fra i due).
Il costo della materia prima elettrica
Quest’anno lo svantaggio dell’Italia sull’Europa per il costo energetico all’ingrosso è ai massimi da inizio del secolo, eccezion fatta per il 2007: la materia prima elettrica alla borsa di settore in questo 2025 si sta vendendo a quotazioni dell’86% superiori alla media degli altri Paesi del continente. Le cause sono complesse ma non fortuite; di certo, come scrivono Ferruccio de Bortoli e Francesco Giavazzi sul Corriere, il governo fatica ad affrontarle (in questo spazio ne abbiamo già parlato più volte negli anni, per esempio qui e qui). E quel dato non include il peso delle tasse e degli altri prelievi, altro fronte nel quale l’Italia è indietro. Qui l’incidenza sulle bollette di gran lunga fra le più alte d’Europa. Lo si vede nel grafico sotto, tratto dall’agenzia statistica europea Eurostat.
Non stupisce dunque che per le famiglie il costo della luce alla fine sia fra i più cari d’Europa, come conferma il terzo e ultimo grafico sotto (anch’esso tratto da Eurostat, con dati parametrati su fine 2024 al potere d’acquisto delle persone dei diversi Paesi). A 35 centesimi di euro per kilowattora sulla media dell’anno passato, quel costo è sopra la media europea di 29 centesimi ed inferiore alla sola Germania: nella prima economia del continente si viaggia a 41 centesimi a kilowattora, ma le buste paga tedesche sono molto superiori a quelle italiane.
Le «Baronie elettriche»
Insomma, in Italia abbiamo un tema da affrontare. Storico. Durante gli anni del miracolo, Ernesto Rossi – antifascista condannato al confino, costituente, giornalista – con Mario Pannunzio e altri del settimanale “Il Mondo” organizzò un ciclo di convegni sulla modernizzazione del Paese. L’appuntamento sull’energia era dedicato alle “Baronie elettriche”, come ricostruisce Antonella Braga in un articolo. Scriveva Ernesto Rossi all’epoca: «In confronto all’America, l’Italia non è un Paese capitalistico: è un Paese feudale (…). La ‘libertà’ richiamata continuamente dai ‘padroni del vapore’ contro ogni intervento dello Stato è la medesima libertà che i baroni rivendicavano nel medioevo, contro il sovrano, di taglieggiare i sudditi a loro completa discrezione».
La nazionalizzazione dell’elettricità
Uomini come Rossi, Pannunzio e altri della cerchia del “Mondo” volevano nazionalizzare l’elettricità, certi che gli oligopolisti privati del settore operassero un cartello che gonfiava i prezzi a spese dei cittadini e delle imprese. Nel frattempo – secondo il gruppo del “Mondo” – quegli stessi “padroni del vapore” erano lontanissimi dall’investire abbastanza. Ancora Rossi: «Rimettere alle società private la prestazione di questo servizio pubblico (la fornitura elettrica, ndr) è oggi tanto anacronistico e assurdo quanto lo sarebbe lasciar libere le banche private di stampare carta moneta, o affidare la difesa del territorio nazionale a delle compagnie di ventura».
I costi della distribuzione
Avanti veloce di sessantacinque anni e alcuni potrebbero concludere che il sogno di Ernesto Rossi è realizzato. Le più grandi aziende dell’energia sono a controllo pubblico, benché da decenni ormai riprivatizzate in borsa. Un rapporto del centro studi Teha-Ambrosetti redatto nel 2024 in collaborazione con Enel sottolinea – elaborando dati del regolatore Arera e di Eurostat – che l’Italia oggi ha i costi di distribuzione elettrica più bassi fra i principali Paesi europei, se li si parametrano per ogni cliente e per ogni chilometro di rete. Le aziende protagoniste – quando le si interpellano come doverosamente ho fatto per questo articolo – ricordano l’affidabilità del loro servizio in confronto a Spagna o Francia, per esempio. Una relazione del regolatore dell’energia Arera nota che i costi della distribuzione elettrica per kilowattora trasportato in Italia sono sotto alla media europea. Non sarebbe dunque da cercare qui la ragione delle bollette fra le più care del continente, anche perché quei costi di rete incidono per meno di un quinto sul costo finale a carico delle famiglie o delle imprese.
La filiera dell’energia
Certo la distribuzione al dettaglio è solo uno dei business, perché prima viene il trasporto sulle grandi dorsali e separatamente c’è il gas che viaggia per migliaia di chilometri e poi arriva nelle case. Pensate alla filiera della carne in scatola: ci sono la materia prima, il trasporto in autostrada del prodotto su grandi tir porta-container e infine il furgone che consegnerà i pacchi sotto casa vostra. Solo che quelle ditte dei Tir o dei furgoni non riescono a trattenere per sé un utile operativo (EBIT) pari metà di quello che fanno pagare a voi, per il viaggio della scatoletta.
Il confronto con le altre aziende Ue
Neanche molte delle aziende europee del trasporto e della distribuzione di energia ci riescono. Sul 2024 ho trovato i seguenti valori:
– La francese RTE (equivalente di Terna) ha un EBIT sotto al 20%
– L’olandese Tennet Holding (altro equivalente di Terna) ha un EBIT del 20,7%
– La tedesca Eurogrid ha un EBIT del 23,5%
– La spagnola Redeia, altra grande società di reti di energia, ha un EBIT del 47,7%.
Ma nessuna di loro arriva alla redditività di Snam, Italgas o Terna in questa prima metà del 2025.
La remunerazione decisa dall’Arera
Per spiegare come essa sia possibile, va ricordato che essa dipende dalle indicazioni del regolatore pubblico dell’energia: spetta all’autorità Arera indicare quale debba essere il livello di “remunerazione” proporzionale agli attivi delle aziende che svolgono dei servizi così importanti per la collettività. Da questa “remunerazione” dipendono infatti la salute finanziaria di quelle aziende, i loro investimenti e la qualità del loro lavoro per voi. In sostanza decide l’autorità pubblica – un’agenzia indipendente dalla politica – quanto devono guadagnare grandi gruppi come Terna o Snam. Non decidono Terna o Snam o le altre, che hanno avuto dai vari governi succedutisi in Italia le concessioni pubbliche per svolgere il loro lavoro. Dunque va visto cosa decide il regolatore. E nel confronto europeo l’autorità italiana Arera sembra essere decisamente fra le più attente a tutelare le entrate delle aziende stesse del trasporto e della distribuzione di energia, più che il prezzo al consumatore finale.
Il confronto con le altre autorità
L’ultimo rapporto del Consiglio dei regolatori europei dell’energia, relativo al 2024, mostra che l’autorità italiana fissa un rendimento del capitale più alto o nettamente più alto per le società concessionarie del trasporto e la distribuzione di gas e elettricità praticamente di qualunque altro Paese europeo: un quinto più che in Francia, più del doppio rispetto all’Olanda, alla Gran Bretagna e persino all’Ungheria, il doppio rispetto alla Germania, il 15% più che in Spagna, largamente più che in Portogallo o in Danimarca. E così via. Peraltro, la base di attivi di proprietà sui quali si misurano quei rendimenti in Italia viene valutata più generosamente – per le aziende interessate – rispetto ad altri Paesi importanti. Per esempio, in Francia e in Spagna si tiene conto solo del capitale installato: i gasdotti o i tralicci ad alta tensione già esistenti e funzionanti, sui quali le società titolari devono poter guadagnare in una certa proporzione. In Italia e in Germania invece vanno remunerati con un certo rendimento fisso anche gli attivi “in costruzione” e il “capitale circolante”, cioè spese operative che potrebbero includere parte di quelle per il personale. E posso continuare con i dettagli tecnici, tutti nello stesso senso.
Il dibattito sulle bollette
Ciò significa che in Italia i colossi regolati dell’energia hanno catturato (non da ora) il regolatore e la politica, a spese dei consumatori? Sinceramente non lo so. Persone esperte, affidabili e indipendenti mi parlano con grande rispetto di Arera. Ma i numeri e i fatti dicono che è tempo per una discussione aperta e trasparente su questi temi: contano per la vita di milioni di imprese e decine di milioni di famiglie. Ernesto Rossi scriveva che «in confronto all’America, l’Italia non è un Paese capitalistico: è un Paese feudale». E fa impressione rileggerlo oggi che anche l’America rischia di diventarlo più dell’Italia del 1960.
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